Simone Soldani presenta il suo ultimo album, uscito il 12 aprile 2024 per Blackcandy Produzioni
Ritrovare il bambino dentro di sé, le difficoltà di dialogo tra generazioni, l’artista in cerca di affermazione, ma anche la sanità mentale, l’amore rovinoso, il femminicidio e la dipendenza. C’è questo e tanto altro in Hobby costoso, il nuovo album di Simone Soldani, in arte Bimbo, uscito il 12 aprile scorso per Blackcandy Produzioni. Temi complessi che l’artista si rifiuta di banalizzare, mostrati al pubblico dal suo personalissimo punto di vista. Ne esce un pensiero originale, sincero, coerente nella sua libertà e nella sua volontà di non adeguarsi necessariamente al luogo comune. L’album di Bimbo è maturo, anti-convenzionale e, soprattutto, piacevole da ascoltare. Classe 1976, livornese, Simone rappresenta una generazione che non vuole nascondersi dietro alle proprie convinzioni, ma che al contrario vuole con forza comprendere le trasformazioni del mondo, musicale e non solo, per dire la propria e ricordare l’importanza del confronto.
La forte inclinazione alle sonorità elettroniche, mai intestardite e rigide, trasmette perfettamente l’energia emotiva dietro le parole che l’artista ha messo nero su bianco con intima e imprescindibile necessità. A raccontarci l’universo creativo che ha dato vita all’album è stato proprio Simone.
L’intervista a Simone Soldani, in arte Bimbo
Ciao Simone, presentaci il tuo ultimo lavoro. Di cosa canti in Hobby costoso?
L’album raccoglie il mio pensiero su diverse tematiche che sento molto. I testi sono ognuno diverso dall’altro, ma sono uniti da un unico comune denominatore che è la volontà di affrontare argomenti spesso scomodi da raccontare in musica. Ritengo che sia fondamentale sollecitare la discussione sempre e comunque, anche attraverso l’arte, e credo sia altrettanto importante non fermarsi a raccontare i fenomeni superficialmente, ma esprimendo davvero un ragionamento. Anche con il rischio di essere fraintesi. Serve un po’ di coraggio.
Sei una persona che crede fermamente nel confronto tra individui, soprattutto tra quelli appartenenti a generazioni diverse. Da dove nasce questa fiducia nel dialogo?
Sono del 1976, sono quindi cresciuto in un contesto sociale e musicale ben differente da quello odierno, ma non sono un critico a priori del nuovo, anzi. Apprezzo tantissimo i nuovi generi come la trap, credo che movimenti come l’hip hop siano ricchi di potenza espressiva, perciò cerco di comprendere come le impellenze degli artisti di oggi possano stimolare e migliorare il dialogo con chi si esprime attraverso mezzi differenti. Quello che per me è importante è il contenuto, non il modo di trasmetterlo. Un artista, a mio modo di vedere, dovrebbe cercare di essere prima di tutto rilevante per una discussione, perché si è scritto già tanto e di tutto e non è detto che le esperienze personali possano interessare. Se un artista affronta un tema in linea generale può permettere al pubblico di comprendere meglio l’idea sottostante. Questo non vuole certo dire evitare di esprimere la propria netta e libera opinione.
Tra le dieci canzoni di Hobby costoso qual è quella che senti più tua?
Scelgo Prendersi in giro, perché ha un testo sperimentale che dice molto sul mio modo di essere. Ho voluto provare a scrivere pensieri per come emergevano nella mia testa, senza necessariamente rivestirli di un senso generale. Ho pensato che un brano no-sense potesse comunque permettere all’ascoltatore di trovare una propria personalissima immedesimazione in modi da me imprevisti. Il riscontro che ho avuto finora mi ha confermato come questo sia avvenuto e di questo sono molto felice. È una canzone alla quale sono molto affezionato.
La musica come necessità, i social e la vita da musicista
Per te la musica è una forte necessità espressiva. Da dove deriva questo bisogno di mostrarti in musica?
Io provengo da una famiglia di operai, non ho mai avuto la fortuna di avere la musica in casa, non ho fatto studi classici o musicali. Mi ci sono avvicinato proprio perché avevo bisogno di un mezzo per far emergere Simone, per esprimere pensieri. Senza la musica non so come avrei fatto perché è stata una fondamentale valvola di sfogo nel corso di tutta la mia vita. Senza sarei stato sicuramente molto più incazzato (ride, ndr).
Come mai hai scelto di dare questo titolo al disco?
È una provocazione, sull’importanza che il mondo da all’arte e su come chi cerca di fare questo mestiere spesso non sia preso in considerazione. Chi vede la musica come necessità espressiva e non ha i mezzi economici per essere autonomo si trova spesso a fare i conti con questo Hobby costoso.
Come vivi questi tempi in cui comunicare attraverso i social è quasi obbligatorio per tutti, anche e soprattutto per gli artisti?
All’inizio entrare nel mondo dei social network è stato un trauma folle. Fino a poco tempo fa non avevo nemmeno uno smartphone tanta era la mia voglia di non essere continuamente “disturbato”. Piano piano ho iniziato ad usare questi strumenti e ho trovato un mio modo di essere presente. Non pubblico molto in ambito musicale, preferisco scherzare sulla società e i suoi modi strani di rivelarsi.
La voglia di sperimentare, il cinema e le session hardcore con Marco Giallini
Hai già in mente nuovi lavori? Che tipo di sonorità vorresti sperimentare in futuro?
Mi piacerebbe fare un disco con contaminazioni trap. Mi piacerebbe avvicinarmi a quel mondo e mi diverto a cambiare in continuazione. Non ho un attaccamento particolare ad un genere, l’avevo in passato con l’hardcore, ma oggi voglio essere libero di spaziare.
Nel tuo passato c’è anche una bellissima esperienza legata al mondo del cinema. Hai realizzato la colonna sonora del film B.B. e il cormorano, presentato al Festival di Cannes. Come hai vissuto quel momento?
È stata una piacevolissima esperienza giovanile, nata grazie al rapporto con il mio amico Edoardo Gabriellini, regista del film. Mi chiamò chiedendomi di occuparmi delle musiche, ma io volevo rifiutare perché non mi sentivo subito all’altezza. Lui è stato però molto convincente e ci siamo lanciati in questa avventura. Un ricordo bellissimo che ho è legato a Marco Giallini, tra i protagonisti del film, che ai tempi era ancora agli inizi. Nelle pause tra una ripresa e l’altra andavamo in uno studio a suonare insieme. Lui è un batterista hardcore, perciò ci trovammo subito. Fu molto divertente e addirittura mi chiese di autografargli il mio cd. A Cannes poi fu stupendo, sono riuscito a godermi l’esperienza soprattutto perché non ho mai staccato i piedi da terra. Ho poi lavorato altre volte per il cinema, ma non ho mai pensato di dedicarmi esclusivamente a quell’ambito.